Le Interviste di Allinfo.it | Intervista con i Reel Tape di Giovanni Pirri

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Nel corso del nostro viaggio quotidiano tra gli artisti del panorama musicale contemporaneo non potevo non imbattermi nel gruppo dal nome tanto d’avanguardia quanto innovativo. Sto parlando dei Reel Tape, gruppo coeso dal ritmo concitato. E’ nata così questa intervista che vi propongo.

Partiamo dal nome del vostro gruppo “Reel Tape” .. come nasce?

“Reel Tape” significa “bobina a nastro”: Il progetto è iniziato nel 2017 dal tentativo di provare a ibridare le nostre influenze musicali con lo strumento espressivo dei campioni vocali, dopo aver assistito ad un folgorante concerto dei Public Service Broadcasting.
Da questo il nome del gruppo, che fa riferimento al cutting & splicing delle bobine a nastro, il classico “taglio” cinematografico.

E’ appena uscito “Fake Bloom” un singolo che porta all’attenzione il vostro interesse per il cambiamento climatico. Ad accompagnarlo un video che inizia con una affermazione che subito dopo viene cancellata.  Spesso le canzoni sono una risposta precisa ad una domanda importante. Concordate ? Se sì Qual è la vostra domanda di partenza che vi ha spinto a scrivere questo brano?

Sì, la crisi climatica è per noi da molti anni una questione centrale, alcuni di noi sono anche militanti ambientalisti. L’affermazione cancellata è presa direttamente dalla voce di Murray Boochin, fiosofo anarchico e fondatore dell’ecologia sociale, e parla dell’assurda pretesa del’uomo di dominare la natura, che è poi strettamente legata alla tendenza allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. La domanda di partenza che ci ha spinto a scrivere questo brano potrebbe essere “perché di fronte all’evidenza del Climate Change gran parte di governi, aziende, individui, si comportano come sotto l’effetto di una gigantesca rimozione collettiva? E’ come se fossimo tutti in un autobus senza conducente che sta andando velocemente a sbattere, e ognuno resta a sedere al suo posto con un sorrisetto compiaciuto di incoscienza…

Nel video un occhio che con la sua pupilla è un po’ come il centro di un’antenna. Questa la visione di Lorenzo Guenzi. Come è nato il vostro incontro artistico in questa  visione che fa da sfondo alle parole di Murray Bookchin. ? Ma soprattutto come e quando è nato il vostro incontro ideale con il fondatore dell’ecologia sociale?

L’idea della realizzazione del video è nata dalla volontà di descrivere proprio la sensazione di straniamento e preoccupazione di fronte alla minaccia del cambiamento climatico, e per farlo cercavamo un luogo surreale, delle immagini potenti e inquietanti. Con una ricerca in rete tra siti di urbex e luoghi abbandonati Lorenzo Cecchi si è imbattuto in questa ex-base NATO sul Monte Giogo – oggi a distanza di molti mesi la scelta suona ancor più inquetante vista l’attuale situazione bellica – e abbiamo creduto potesse essere perfetta per la realizzazione del video. Queste immagini si alternano a esperimenti pseudo-scientifici strampalati che abbiamo girato, non senza un pizzico di ironia, per evocare la manipolazione a volte insensata nei confronti della natura, e a disastri naturali veri o evocati. Per le riprese, non facili, dobbiamo ringraziare Francesco Coschino, Maurizio Scuiar e Leonardo Roina, mentre la regia è interamente a cura di Lorenzo Guenzi, il nostro batterista, che da sempre si occupa anche della parte “video”.

Che avventura è stata raggiungere l’ex base NATO sul monte Giogo a 1500m ? Aneddoti?  Sensazioni?  Le basi si dismettono ma visti i tempi le guerre fredde diventano sempre più gelate?

E’ stato un viaggio piuttosto lungo, bello ma complicato. La strada a un certo punto diventa impossibile da percorrere in auto, dapprima abbiamo provato a scendere lasciando solo il conducente, poi lo sterrato era così dissestato da costringerci a mollare l’auto e proseguire a piedi con tutta l’attrezzatura per un lungo tratto. Abbiamo poi dovuto entrare nell’area “vietata” attraverso un preesistente buco nella rete, di fatto l’accesso sarebbe proibito… Ma crediamo ne sia valsa la pena!
Una volta di fronte a queste gigantesche parabole, con intorno una visuale a 360° che permette di scorgere persino il mare, si ha una strana sensazione distopica, un misto tra la pace di un luogo immerso nella natura e gli echi inquietanti di vecchi film di guerra o di fantascienza.
Nell’area abbiamo trovato anche un piccolo bunker sotterraneo ed una sala controllo con macchinari e vecchie schede abbandonate ovunque. La base è stata abbandonata nel 1992, dopo essere rimasta attiva per tutta la guerra fredda.
E sì, visti i tempi fa ancora più impressione vedere il video e pensare che queste parabole servivano per la comunicazione e lo spionaggio USA nei confronti del blocco sovietico. Ed è inquietante anche risentire il brano che chiude l’album, “Outer Space View”, che ad oggi sembra davvero raccontare la guerra in corso, pur essendo partito da “la Guerra dei Mondi” di Orson Welles per raccontare altro.
Purtroppo la “guerra fredda” al momento sembra fin troppo calda, ci auguriamo che prevalga il buon senso, ma anche in questo caso non possiamo non notare come la folle dipendenza dai combustibili fossili giochi un ruolo determinante anche dal punto di vista geopolitico, quando l’Europa potrebbe essere praticamente autonoma con rinnovabili, elettrificazione e accumulo…

Nel video idealmente ricostruito il rapporto distorto tra uomo e natura. Una narrazione che lascia in voi speranza? Oppure ci dobbiamo rassegnare?

Nonostante la situazione sia grave e urgente, non affronteremmo il tema con questo impegno, cercando di comunicarlo al meglio, se non credessimo che una speranza c’è. La pensiamo proprio come i ragazzi dei Fridays for Future: occorre agire in modo rapido e radicale, è ancora possibile mitigare e in parte arrestare la crisi climatica e questo rapporto distorto tra l’uomo e le risorse naturali che sono limitate, ma che trattiamo come fossero infinite. Ma occorre fare in fretta, e ognuno deve fare la sua parte, dal singolo fino ai governi (e al mondo economico-produttivo).
Senza aver paura di un futuro che a seguito dei necessari cambiamenti dovrà certamente essere molto diverso, ma non necessariamente peggiore, anzi…

Fake Bloom fa parte di Fences che tipo di album è su quale filosofia si fonda?

Il nostro nuovo album “Fences” è dedicato interamente al tema delle barriere e dei confini, declinato in 12 modi diversi: da quelli fisici e politici di “Brexit” e “The Fence” (sul muro Messico-USA), allo sradicamento tra uomo e natura in “Fake Bloom”, alle barriere architettoniche di H-Play, a quelle psichiche in NOF4 e in Stronghold (sul fenomeno Hikikomori), all’incomunicabilità tra le persone, alle barriere sociali e esistenziali. Per affrontare questi temi abbiamo usato lo strumento dei campioni vocali, estratti presi dalla realtà e dall’attualità e inseriti nei brani. I testi sono nati di conseguenza, come una trama emotiva che riflette l’eco delle sensazioni, inquietudini e suggestioni impresse dai campioni stessi.
Abbiamo anche cercato di armonizzare sonorità diverse, tra alt-rock ed elettronica, tra atmosfere rarefatte e suoni ambientali, e in questo senso le 12 tracce suonano molto varie ed eterogenee, con qualche sorpresa..
Fences vuole essere anzitutto un album sull’osservazione della realtà, e sulla necessità di cambiarla radicalmente. Per questo l’intro strumentale, 10.000 miles away, con i samples di Armstrong e Gagarin, è una sorta di sguardo distaccato che dallo spazio si avvicina progressivamente alla Terra, mettendola a fuoco senza le divisioni prodotte dall’uomo.

Le sonorità post-rock miste ad influenze elettroniche e psichedeliche sono il frutto di una sperimentazione comune in studio o il singolo apporto di ciascun componente del gruppo?
Insomma qual è il vostro backgroud musicale e quanto pesa l’eco delle vostre esperienze personali ?

Parte dei brani sono arrivati già in sala prove con una struttura precisa ideata da un singolo, e sono poi stati arrangiati insieme, ma col tempo stiamo affinando per quanto possibile una certa tendenza alla “composizione collettiva” , e alcuni dei momenti crediamo più felici dal punto di vista musicale, come ad esempio la seconda parte di “H-Play”, sono nati da una sorta di improvvisazione di gruppo.
I nostri singoli background musicali sono in parte diversi, ognuno arriva da esperienze musicali in generi differenti, e questa è un po’ la forza dell’album: mi viene a mente la metafora del tendone da circo, in cui ognuno tira in una direzione diversa e questo sforzo apparentemente disarticolato permette però poi di alzare il tendone… In parte noi funzioniamo proprio così, poi sicuramente c’è un background musicale comune, dai Public Service Broadcasting, ai REM, ai Radiohead, e ancora Smashing Pumpkins, Mogwai, David Bowie, Kurt Vile e molti altri.

Cosa vi sta riservando il vostro presente in questo periodo di ripartenza e cosa bolle in pentola?

In questo momento, dopo un periodo sicuramente difficile in cui le possibilità di suonare live si sono clamorosamente ristrette – e le poche parevano riservate ai gruppi cover -, iniziamo finalmente a programmare dei live, di cui potrete presto essere informati seguendoci sui canali social (Facebook, Instagram e Twitter) ; nel frattempo continuiamo anche a lavorare a nuovi brani, con un approccio ancora differente, stavolta cercando di usare lo strumento delle campionature in modo più “sonoro” e meno verbale. Non vediamo l’ora di rientrare in studio a registrare nuovo materiale, ma intanto ci godiamo “Fences”, un lavoro che è stato anche faticoso (con il mix e master realizzati in remoto durante il lockdown 2020) ma che ci soddisfa molto.

Grazie

di Giovanni Pirri